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Il personaggio - Una vita tra i convittori dell'Onaosi, 87 anni per l'ex rettore Renato Degli Esposti

La sua vita di studio e lavoro raccontata agli amici al bar di Ponte San Giovanni

Renato, una vita da Rettore Raccontata, a puntate, in un bar di via Atalanta a Ponte san Giovanni- Un caffè con gli amici e una storia, sempre diversa, da raccontare a Claudio, Stefano, Ennio, Serse, Gino, Vittorio. Il personaggio, il narratore è Renato Degli Esposti, già Rettore del Convitto Maschile dell’Onaosi di Perugia. Ottantasette anni portati magnificamente grazie anche ai 6/8 kilometri al giorno a piedi con Ennio, uno dei quattro amici al bar, per tenersi allenato e respirare aria buona.

Renato da dove e come inizia una storia dai numerosi episodi raccontati sempre con il sorriso sulle labbra e la Gazzetta dello Sport sul tavolino?

“Le storie si raccontano dall’inizio e quindi dobbiamo parlare di Porto San Giorgio dove sono nato. Da piccolo sono praticamente vissuto con mia nonna, i miei genitori lavoravano. Lei tutte le mattine mi portava in chiesa a pregare e mi faceva “celebrare” tutti i venerdì, che per lei erano santi, e i sabati del mese”.

Questo fino a quale età?

“Cinque, sei anni. Poi sono stato accanto agli zii che avevano un laboratorio per fare e per accomodare le corde e le reti dei pescatori. Per me non era un lavoro, mi piaceva fare sempre qualcosa di manuale e gli zii mi regalavano qualche liretta che mettevo da parte e con cui mi potevo togliere qualche soddisfazione: un dolce, un panino, un gelato, un giornalino”.

E i genitori cosa dicevano?

“Erano contenti perché almeno non stavo sempre a zonzo per le strade. Allora non c’erano i pericoli di oggi. Mio padre gestiva un bar dove anche io davo una mano. D’estate poi andavo al mare per vendere le pizze che aiutavo a fare con mia madre in casa”.

Renato, ancora non è venuto un accenno alla scuola?

“Ho frequentato le elementari e poi la scuola di avviamento professionale, ma non andavo molto bene anche perché mi piacevano quei piccoli impegni di lavoro presi anche come divertimento. - Nessuno le aveva detto che era importante studiare?”.

“Sì, fu il signor Monaldi, abitavamo nello stesso palazzo e mia madre era addetta alle pulizie. Un giorno mi chiamò e mi disse “Renato, tu sei un bravo ragazzo, assennato, con il piacere di fare sempre qualcosa. Perché non ti metti a studiare per fare il tecnico agrario? Ti farei dirigere i miei terreni e le mie proprietà”.

Le interessò questa prospettiva?

“Conoscevo bene il signor Monaldi e apprezzai le sue parole. Ero anche amico del figlio Vincenzo. Non ci pensai nemmeno un giorno e mi iscrissi all’Istituto Agrario che comportava anche lavori in campagna. La sera, per guadagnare qualcosa, lavoravo al Circolo Cittadino di Porto San Giorgio, anche perché mio padre era stato assunto al Grand’Hotel”.

Sempre attivo insomma: frequenza, studio, lavoro e poco svago?

“Sì, ricordo di aver studiato profondamente per superare gli esami del 3° anno e giungere a prendere il diploma dopo il 5°. Su 21 studenti fui il solo ad essere promosso e iniziai subito a lavorare come fattore delle terre dei Monaldi”.

Soddisfatto del lavoro?

“Certamente, io mi sono sempre appassionato a tutto quello che facevo. Però, studiando, mi era venuta voglia di sapere ancora di più, di frequentare l’università che, allora, nei dintorni ancora non c’era”.

E allora?

“Né io, né i miei avevano le possibilità di mantenermi agli studi universitari lontano da casa. Mio padre, che lo conosceva, presentò i miei desideri al vescovo di Fermo, cui anche il signor Monaldi aveva parlato bene di me. La mia aspirazione era frequentare l’università a Perugia dove giunsi a fare l’istitutore al Convitto Maschile dell’Onaosi. Un lavoro piacevole, impegnativo, con responsabilità che mi dava però la possibilità di mantenermi e di studiare. La mia sveglia era alle 4 di mattina per studiare a mente fresca. L’impegno fu premiato con la laurea e con un lusinghiero voto di 110”.

E la storia ha un lieto fine. 

“Sì, ho continuato a lavorare all’Onaosi di Perugia fino a diventarne Rettore e giungere, con questa carica, alla pensione. Una vita di lavoro sempre a contatto con i giovani convittori provenienti da tutta Italia. E devo anche a questi quotidiani contatti il non sentire ancora il peso dei miei anni. E mi piace al bar, nelle passeggiate, negli incontri con le attive associazioni operanti a Ponte San Giovanni raccontare alcuni episodi della mia vita anche per dire a tutti, e soprattutto ai giovani, che i sacrifici, gli studi, l’impegno, la determinazione alla fine premiano. Ed io mi considero un premiato”.

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