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VISTI PER VOI Al Morlacchi Lunetta Savino, in “La madre” di Florian Zeller

L’allontanamento dei figli genera disagio e inquietudine

Il ruolo di moglie e di madre fra sorrisi e dramma.

In scena Lunetta Savino, con Andrea Renzi, Niccolò Ferrero e Chiarastella Sorrentino, per la regia  di Marcello Cotugno.

Non un banale spettacolo sul mammismo (prima ci si lamenta perché non se ne vogliono andare e poi, quando lo fanno, si recrimina sul loro disinteresse). E neanche sul progressivo logoramento del legame matrimoniale.

Ma una riflessione antropologica su una società che mette a margine il sentimento, la fedeltà, la gratitudine.

Se è vero che, per crescere ed emanciparsi, occorre (diceva Freud) uccidere i padri, anche qui il figlio, Nicola, deve liberarsi da questo amore oppressivo, uccidere la madre in un letto d’ospedale. O forse immaginare di farlo. O forse è la madre stessa che implicitamente lo desidera. O lo teme.

Torna a casa, il figlio, dopo tanti messaggi cui non ha dato risposta, un po’ per la rottura con la fidanzata, un po’ per preparare la madre all’abbandono del marito che, tra uno pseudo-congresso e l’altro (a Chieti?), se la fa con disinvolte giovinette.

Lo sdoppiamento della Madre è totale. Combattuta fra accettazione e rifiuto di una realtà scomoda, temuta, esorcizzata: quello dell’abbandono, del tradimento, della solitudine.

Belli i momenti di ironia e comicità nel dramma. Insomma: il diagramma va su e giù, come si conviene a un prodotto ben fatto, non piatto e banale.

Lunetta Savino assurge ad archetipo di madre di una volta calata nei nostri giorni. Nel suo diniego a lasciar andare il figlio per la sua strada c’è il timore di perderlo e di perdersi. In una vita di cui non si sanno ridiscutere modalità di accettabile sopportazione. Ritagliandosi ruoli nuovi, da semplice comparsa.

Ed è, questa, proprio una storia senza fine. Come la canzone di Paoli che chiude la pièce. Trascinandosi nella banalità del quotidiano. Senza fine e senza fini. Nella speranza che la temuta fine possa coincidere con un fine. Per temibile e imperscrutabile che sia.

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